CHIRURGIA VASCOLARE

 
 

Gentile paziente, Le é stato diagnosticato un restringimento della arteria carotide a livello del collo.
Questi restringimenti o stenosi si formano in genere per la deposizione di colesterolo, calcio e piastrine nella parete dell’arteria (aterosclerosi) e possono determinare una riduzione dell’afflusso del sangue e quindi dell’ossigeno al cervello ed agli occhi.In caso di occlusione completa dell’arteria o nel caso in cui alcuni frammenti di una placca o un coagulo dovessero migrare e occludere un’arteria cerebrale, si può verificare un’ ischemia cerebrale o ictus che può avere come conseguenza disturbi temporanei o permanenti della sensibilità, del movimento, della coscienza, del linguaggio, della vista e del comportamento. Nei casi più gravi si può arrivare alla morte.

 

Per prevenire tutte queste gravi complicanze Le è stato consigliato un intervento chirurgico di endoarteriectomia carotidea che consiste nella rimozione chirurgica della placca che restringe la carotide.
L’intervento viene eseguito in anestesia generale o in anestesia locale per mezzo di una incisione sul collo isolando il tratto di arteria sede del restringimento. Dopo aver chiuso l’arteria a monte e a valle del restringimento per mezzo di apposite pinze (clamp), questa viene incisa  e viene rimossa sia la placca causa della stenosi, sia la sua superficie interna danneggiata. Durante il clampaggio monitorizzeremo costantemente la sua funzionalità cerebrale attraverso un’apparecchio in grado di misurare l’ossigenazione cerebrale e, in caso di anestesia locale, valuteremo attraverso alcune domande il suo stato neurologico  e la sua tolleranza all’intervento.

Tale monitorizzazione  ci potrà segnalare, soprattutto in caso di anestesia generale, una incapacità di compenso cerebrale (intolleranza al clampaggio, che si verifica in un 10-15% dei casi) che viene risolta attraverso il posizionamento di un tubicino o shunt che consente di mantenere il flusso di sangue a valle del tratto operato.

L’arteria viene quindi ricucita mediante una semplice sutura dell’incisione (1) o spesso attraverso l’interposizione di una “toppa” di materiale sintetico (patch) (2); in altri casi l’arteria viene sezionata e dopo averla ripulita viene riattaccata con una sutura (tecnica dell’eversione 3) mentre in casi più rari può essere necessario sostituire completamente l’arteria con una protesi sintetica (by-pass). 

 

In ogni caso sarà il chirurgo che al momento dell’intervento sulla base delle caratteristiche morfologiche dell’arteria, del tipo ed estensione del restringimento sceglierà la tecnica operatoria più adatta. La qualità dell’intervento verrà verificata, prima di richiudere la ferita,  con un  esame ecocolordoppler intraoperatorio che permette di individuare possibili difetti tecnici. Raramente è possibile in questi casi associare al trattamento chirurgico una procedura di tipo endovascolare  di angioplastica e stenting.
Eventuali modifiche, estensioni o variazioni della tecnica chirurgica o del tipo di anestesia potranno comunque rendersi necessarie nel corso dell’intervento .
 

MATERIALI UTILIZZATI PER iL TRATTAMENTO ED EVENTUALI POSSIBILI EFFETTI INDESIDERATI

 

Come indicato sopra, è possibile che nel corso dell’intervento, venga utilizzato del materiale sintetico (“patch” o “by-pass”); tale materiale risulta assolutamente biocompatibile e non comporta alcuna limitazione per il paziente né attenzioni particolari da seguire. Naturalmente essendo un materiale “sintetico” esiste un possibile rischio (incidenza <1%) di infezione, precoce o tardiva, che potrebbe richiedere un reintervento di asportazione e di sostituzione, generalmente con materiale autologo (tessuto venoso del paziente) o con materiali biologici eterologi (es pericardio bovino); i tessuti autologi (dotati di una maggiore resistenza all’infezione) presentano comunque il rischio di una possibile evoluzione aneurismatica per cui un loro utilizzo in prima istanza non viene consigliato.

 

CONDOTTA E REGOLE DA SEGUIRE AL TERMINE DELL’INTERVENTO

 

Al termine dell’intervento è possibile che Lei venga trasferito in Terapia Intensiva per il monitoraggio delle principali funzioni vitali sino al giorno successivo. Dopo la visita di controllo con l’eventuale rimozione del drenaggio chirurgico e visionati gli esami di controllo previsti, (eventualmente dopo il rientro in reparto dalla Terapia Intensiva) a partire dalla mattina successiva all’intervento Lei potrà condurre una vita normale, compatibilmente con la sua età e le sue condizioni cliniche generali, in attesa della dimissione che generalmente avviene dopo 2-3 giorni.
Naturalmente eventuali problematiche che dovessero insorgere dopo l’intervento potrebbero modificare la condotta post-operatoria.
Prima della dimissione Lei sarà sottoposto ad un esame ecocolordoppler di controllo e verrà dimesso con l’indicazione a continuare a domicilio le medicazioni della ferita chirurgica in attesa della visita di controllo prevista a distanza di circa una settimana dall’intervento, in occasione della quale potranno essere rimossi i punti di sutura cutanei. Tale visita e comunque ogni controllo post-operatorio eseguito entro 30gg dalla dimissione, ovunque eseguito, verrà effettuata gratuitamente dell’équipe chirurgica e non richiede la redazione da parte del suo medico di Medicina Generale di alcuna richiesta sul ricettario regionale.

 

TEMPI DI RECUPERO ED INCIDENZA DEL TRATTAMENTO SULLA QUALITA’ DI VITA

 

Superato l’intervento Lei potrà condurre una vita normale sia lavorativa, sia di relazioni sociali, sia di attività fisica compatibilmente con l’età ed le eventuali malattie associate.

 

BENEFICI

 

Esiste attualmente un accordo unanime nel riconoscere l’importanza della chirurgia carotidea nella prevenzione dell’ictus cerebrale ischemico qualora la terapia medica non sia più in grado di prevenire o limitare l’evoluzione della malattia e le sue possibili complicanze.
In particolare l’intervento è indicato, anche se il paziente non ha sintomi, quando si riscontra una stenosi della arteria carotide maggiore del 60-70% o in caso di placche “a rischio” (molli, a bassa componente calcifica e fibrosa) che, per la loro conformazione più friabile, possono causare facilmente fenomeni embolici o trombotici. Infatti, i dati in letteratura sono ormai concordi nel ritenere che tutti quei presidi farmacologici oggigiorno a nostra disposizione, capaci di rendere più fluido il sangue, siano meno efficaci nel ”proteggere” il paziente da eventi neurologici rispetto al trattamento chirurgico o endovascolare.
Le attuali linee guida chirurgia carotideo prevedono:

 
  • nella stenosi carotidea sintomatica (sintomi insorti entro 6 mesi) uguale o maggiore del 70% è indicata l’endoarteriectomia carotidea
  • nella stenosi carotidea sintomatica compresa tra il 50% ed il 69% l’endoarteriectomia carotidea è indicata anche se il beneficio è modesto almeno per i primi anni, pur crescendo negli anni successivi (Raccomandazione grado A)
  • nella stenosi carotidea sintomatica inferiore al 50% il trattamento chirurgico non è indicato
  • in caso di stenosi carotidea asintomatica uguale o maggiore al 60% l’intervento è indicato se il rischio perioperatorio di complicanza gravi è inferiore al 3% e comunque offre un beneficio modesto in termini di riduzione assoluta di rischio.
 

Inoltre, nel paziente colpito da un evento neurologico acuto il trattamento in urgenza chirurgico-endovascolare della stenosi carotidea è indicato in casi selezionati con lo scopo di limitare l’estensione dei danni.

 

RISCHI

 

Pur se condotta secondo arte e con le più moderne conoscenze mediche, l’intervento di tromboendoarteriectomia carotidea può presentare alcune complicanze che possono essere immediate (intra- e postoperatorie) o tardive (cioè verificarsi a distanza di tempo dall’intervento).
 
Le complicanze immediate comprendono:

 
  • Morte, la cui incidenza si è attualmente ridotta al di sotto dello 0,5%, ma che aumenta proporzionalmente con l’aumentare dei fattori di rischio (età avanzata, compromissione degli apparati cardiaco, respiratorio, cerebrale, renale).
  • Complicanze neurologiche quali l’ictus: ovvero deficit motori (perdita di motilità del/degli arti controlaterali alla carotide trattata) o sensoriali (ad esempio l’incapacità a capire, parlare o leggere, disturbi oculari sino alla cecità). Tali complicanze possono essere reversibili o permanenti.
  • Sindrome da rivascolarizzazione, comprendente: crisi ipertensive, cefalea, nausea, vomito, fino alla insorgenza di crisi epilettiche generalizzate.
  • Lesione dei nervi cranici, che può provocare disfonia e afonia (difficoltà a parlare e abbassamento del tono della voce), difficoltà alla deglutizione, raucedine, deviazione della lingua verso il lato operato, deviazione della rima buccale verso il basso, interessamento del n. accessorio con conseguente limitazione funzionale della spalla omolaterale. Tali complicanze possono essere reversibili o  più raramente permanenti.
  • Occlusione acuta del vaso sottoposto ad intervento, tale evento può non dare sintomi oppure causare quelle complicanze neurologiche ricordate sopra, spesso permanenti.
  • Emorragia cerebrale, evento che può presentarsi anche alla distanza di ore o giorni dall’intervento.
  • Deiscenze, infezione e raccolte ematiche o linfatiche in sede di ferite chirurgiche che non sempre regrediscono con il solo trattamento conservativo ma a volte richiedono una revisione chirurgica.
  • Ipoestesia o anestesia nella sede di cicatrice chirurgica.
  • Complicanze respiratorie (atelettasia, polmonite, versamento pleurico, embolia polmonare).
  • Complicanze cardiache, dall’insufficienza reversibile all’infarto mortale.
  • Sanguinamento postoperatorio richiedente revisione chirurgica per compressione sulle strutture vicine.
  • Necessità di posizionamento di stent carotideo perioperatorio per la presenza di flap o per particolarità tecniche (end point della placca non controllabile).
  • Reazioni avverse al mezzo di contrasto, utilizzato per il controllo angiografico intraoperatorio, fino allo shock anafilattico. 


Le complicanze tardive comprendono:

 
  • Restenosi, fino alla completa occlusione, del vaso sottoposto a intervento. Tale evento può verificarsi precocemente o a distanza di anni. Tale condizione può richiedere un reintervento nel caso in cui il restringimento dell’arteria superi l’80% o determini una sintomatologia neurologica.
  • Infezione protesica: tale evento si può manifestare a distanza di anni e può essere legato a infezioni anche banali contratte successivamente rispetto all’intervento chirurgico, per esempio dell’apparato respiratorio, urinario, o del cavo orale. Tale complicanza comporta la sostituzione della protesi con altro materiale sintetico analogo o, ad esempio, con tessuti autologhi (vene). Talvolta possono manifestarsi delle fistole ovvero comunicazioni tra protesi e cute, quadri normalmente legati ad infezione.
  • Pseudoaneurismi: ovvero dilatazioni della parete a livello della sutura vascolare con le possibili complicanze compressive o di rottura. 

 

ALTERNATIVE

 

Laddove il trattamento della stenosi carotidea sia indicato, una possibile alternativa al trattamento chirurgico é rappresentato dallo stenting carotideo che prevede il posizionamento di una protesi endovasale (una specie di cilindro metallico elastico autoespandibile, montato su un catetere e ricoperto da una camicia retrattile) che schiaccia e “fissa” a parete la placca con lo scopo di mantenere aperta l’arteria e che viene dilatato con un palloncino sotto controllo radiologico. Tale procedura rappresenta una metodica di trattamento meno invasiva e relativamente recente e nonostante la sua sicurezza ed efficacia sia ampia e dimostrata da numerosi studi (con percentuali di successo simili all’intervento chirurgico), il suo ruolo quale alternativa alla endoarteriectomia chirurgica  è ancora oggetto di valutazione.
Le attuali evidenze non sono da ritenersi sufficienti per indicare un cambio di tendenza dall’endoarteriectomia verso le procedure endovascolari nella correzione chirurgica di scelta della stenosi carotidea. 

 

 

 

Gentile paziente, Le è stato proposto un intervento chirurgico di rivascolarizzazione agli arti inferiori per una arteriopatia ostruttiva cronica o AOCP.

L’arteriopatia obliterante è caratterizzata dal progressivo restringimento delle arterie fino all’ostruzione completa delle stesse. I distretti maggiormente interessati sono: il distretto femoro-popliteo e aorto-iliaco; ne è colpito circa il 20% della popolazione generale dai 65 ai 74 anni ed è più frequentemente colpito il sesso maschile. La causa più frequente è rappresentata dall’aterosclerosi.

Negli stadi iniziali la malattia limita la deambulazione, causando durante a marcia dolori crampiformi, a sede diversa a seconda del tratto arterioso interessato (claudicatio intermittens). Successivamente, se la malattia progredisce, i dolori compaiono a riposo (specie la notte) fino alla comparsa di lesioni trofiche (che vanno dalle piccole lesioni digitali fino a quadri di gangrena), quindi può progredire fino a comportare la perdita di funzionalità dell’arto/i interessato/i dalla malattia. L’evoluzione della malattia con il supporto della terapia medica e comportamentale del paziente può essere arrestata agli stadi precoci, addirittura la sintomatologia dolorosa durante la deambulazione può migliorare non solo con l’ausilio dei suddetti presidi, ma anche e soprattutto con l’intensa e quotidiana deambulazione. Talvolta, nonostante tutti questi accorgimenti l’evoluzione della malattia può essere bruscamente accelerata da fenomeni acuti intercorrenti, quali la trombosi (occlusione) dell’arteria malata o l’embolia (coaguli che si possono distaccare da placche irregolari o da aneurismi periferici e/o dell’aorta che occludono vasi più piccoli). In entrambi i casi il brusco arresto di flusso sanguigno a valle dell’ostruzione impone un intervento d’urgenza chirurgico/medico (con farmaci che sciolgono il trombo/embolo) al fine di tentare di salvare l’arto/i colpito/i.
Le strategie terapeutiche che si possono effettuare variano a seconda della clinica del paziente (sintomatologia, età, stato e funzionalità di tutti gli organi ed apparati, con particolare attenzione a quelli renale, cardiaco, cerebrale e respiratorio) e del distretto/i arterioso/i ammalati. Pertanto la decisione se trattare o meno una arteriopatia ostruttiva degli arti inferiori avviene dopo la valutazione delle caratteristiche dell’arteriopatia stessa e dopo avere eseguito tutte le indagini necessarie a valutare lo stato di salute generale del paziente.

COME SI ESEGUE L’INTERVENTO CHIRURGICO

 

Attualmente le possibilità di trattamento dell’arteriopatia ostruttiva degli arti inferiori, oltre a quello farmacologico, sono rappresentate dal trattamento chirurgico e da quello endovascolare. Nel suo caso, sulla base della sede e del tipo di lesione, abbiamo optato per un trattamento di tipo chirurgico; l’intervento consiste, attraverso l’incisione chirurgica della cute in regioni anatomiche diverse a seconda della localizzazione dell’arteriopatia, nel ripulire il/i tratto/i di arteria malati (tromboendoarterectomia) o nel  sostituire (by-pass) i tratti di arteria malati con una protesi sintetica compatibile con i tessuti umani o con un tratto di vena del paziente.
L’intervento può essere eseguito in anestesia generale o in anestesia spinale a seconda della sede delle lesioni ed in base alle caratteristiche cliniche del paziente.
Dopo l’intervento, anche in assenza di complicanze, Lei potrà essere ricoverato per un breve periodo in Terapia Intensiva per il monitoraggio delle principali funzioni vitali ed è possibile che siano necessarie trasfusioni per compensare le perdite ematiche intraoperatorie.

 

BENEFICI

 

Il trattamento chirurgico rappresenta l’approccio più classico utilizzato da decenni per il trattamento della sua patologia e presenta buoni risultati e del quale si conoscono validità e limiti nel tempo; esso è gravato da possibili complicanze che prevedono anche la morte con una incidenza che attualmente è ridotta al di sotto del 5% e che dipende essenzialmente dai fattori di rischio coesistenti (età avanzata, eventuale compromissione degli apparati cardiaco, respiratorio, cerebrale, renale).

 

RISCHI

 

Anche se eseguito nel pieno rispetto e conoscenza delle strategie e tecniche chirurgiche più attuali e standardizzate, l’intervento chirurgico può comportare molteplici complicanze, distinguibili in precoci (intra- e postoperatorie) e tardive (cioè verificarsi a distanza di tempo dall’intervento).
 
Le complicanze immediate comprendono:

 
  • Morte, la cui incidenza si è attualmente ridotta al di sotto del 5%, ma che aumenta proporzionalmente con l’aumentare dei fattori di rischio.
  • Emorragia durante l’intervento o subito dopo, circostanza che può essere più o meno grave, comportando talvolta la necessità di emotrasfusione (con i rischi infettivi connessi) o di reintervento. Nei casi di emorragia grave immediata o nel precoce decorso post-operatoruio, le ripetute trasfusioni possono determinare danni polmonari e/o renali talora irreversibili.
  • Shock da declampaggio aortico (nella chirurgia aortica), talora spiccato tale da provocare la morte.
  • Paraplegia (paralisi degli arti inferiori) per la presenza di arterie midollari con anomalie anatomiche di origine e decorso (nella chirurgia aortica).
  • Complicanze gastrointestinali (nella chirurgica aorto-iliaca) rappresentate dall’ileo (blocco intestinale) ostruttivo o dinamico, dalla colite ischemica o  dall’infarto intestinale per la quale può rendersi necessaria una resezione di un tratto più o meno esteso di intestino e/o la esecuzione di colostomia (ano artificiale) talvolta definitiva, e dalla pancreatite. Tali complicanze possono essere suscettibili di terapia medica o chirurgica.
  • Lesione accidentale nella chirurgia aorto-iliaca di organi e apparati (intestino, milza, reni, ureteri) che possono rendere necessari interventi associati di riparazione.
  • Embolia o trombosi dell’albero arterioso periferico o della protesi. Tale complicanza può determinare nella chirurgia addominale quadri che vanno dall’ischemia viscerale all’ischemia di uno o entrambi gli arti inferiori. Tali evenienze richiedono interventi aggiuntivi finalizzati al tentativo di ripristinare la circolazione nei distretti ischemici. Nei casi più gravi, soprattutto se le condizioni arteriose di partenza sono compromesse,  non sempre un reintervento può essere efficace con conseguente rischio di amputazione d’arto.
  • Disturbi della funzione sessuale quali l’eiaculazione retrograda o l’ impotenza erettile (nella chirurgica aorto-iliaca). Tale disturbo può essere permanente.
  • Deiscenze, sepsi e raccolte ematiche o linfatiche in sede di ferite chirurgiche che non sempre regrediscono con adeguato trattamento medico e/o chirurgico.
  • Insufficienza renale acuta (incidenza intorno al 1-2%) che può comportare la necessità di una dialisi transitoria o permanente.
  • Complicanze respiratorie (atelettasia, polmonite, versamento pleurico) che possono richiedere una tracheostomia.
  • Improvvisi ed imprevedibili aritmie o arresti cardiocircolatori talora tali da provocare la morte del paziente.
  • Angina o infarto miocardico che possono essere anche mortali.
  • Trombosi venosa profonda ed embolia polmonare talora anche mortale
  • Sindrome da rivascolarizzazione con edema persistente (gonfiore) dell’arto in genere reversibile 
 

Durante l’intervento si potrebbe rendere necessario e non rinviabile il trattamento di altre patologie concomitanti il cui riscontro può verificarsi anche al momento dell’esecuzione dello stesso (ad esempio nella chirurgia aorto-iliaca per neoplasie del tratto gastrointestinale, urogenitale, calcolosi della colecisti, ernie, stenosi di arterie viscerali); inoltre durante l’intervento possono verificarsi situazioni che possono condurre a variazioni della tecnica operatoria proposta o che possono spingere a soprassedere all’intervento stesso per il riscontro di quadri lesionali che controindicano una rivascolarizzazione (ad esempio una grave calcinosi circonferenziale dell’arteria con conseguente rischio di rottura al clampaggio, e impossibilità all’esecuzione della sutura)
 
Le complicanze tardive comprendono:

 
  • Laparocele (ernia sulla cicatrice chirurgica) che può necessitare di intervento chirurgico.
  • Trombosi dell’arteria o della protesi con improvviso arresto del flusso sanguigno a valle che può avere luogo nell’immediato post operatorio o a distanza di tempo (anche anni) e per la quale in assenza di una rivascolarizzazione può rendersi necessaria anche l’amputazione.
  • Infezione protesica (evento che si verifica con maggior frequenza in presenza di lesioni trofiche preesistenti all’intervento); tale evento è particolarmente grave specie nel distretto aorto/iliaco; si può manifestare a distanza di anni e può essere legato a infezioni anche banali contratte successivamente rispetto all’intervento chirurgico, quali talune dell’apparato respiratorio, urinario, o del cavo orale o successivi interventi chirurgici sull’addome e che comporta l’ulteriore sostituzione della protesi con altro materiale sintetico analogo o, ad esempio, con tessuti autologhi (vene) o mediante bypass extraanatomici. Talvolta possono manifestarsi delle fistole ovvero comunicazioni tra protesi e strutture circostanti (duodeno, vena cava...) quadri normalmente legati ad infezione.
  • Pseudoaneurismi ovvero dilatazioni del vaso arterioso dell’aorta a livello delle anastomosi vascolari eseguite per l’impianto della protesi. In tali situazioni può essere necessaria la sostituzione di parte o di tutta la protesi precedentemente impiantata con altro materiale sintetico analogo o con tessuti autologhi (vene). 
 

Dopo l’intervento é fondamentale che Lei segua la terapia consigliata, che non è rappresentata solo dall’utilizzo dei farmaci prescritti ma anche da un adeguato stile di vita tenendo presente del possibile interessamento di tutti i distretti vascolari da parte della patologia aterosclerotica. È opportuno inoltre che Lei si sottoponga a periodici controlli secondo modalità e frequenza indicata dallo specialista.
Dopo l’intervento Lei può condurre una vita normale sia lavorativa sia di relazioni sociali; sarà necessario utilizzare (solamente nella chirurgica aorto-iliaca)  per un paio di mesi una ventriera evitando sforzi eccessivi riprendendo poi in maniera graduale la propria attività fisica compatibilmente con l’età e le eventuali malattie associate.

 

ALTERNATIVE TERAPEUTICHE

 

Il trattamento di tipo endovascolare è una tecnica mininvasiva che consiste nella dilatazione o “angioplastica” del segmento di arteria stenotico o occluso con un catetere a palloncino che viene introdotto attraverso la puntura della cute (generalmente a livello dell’inguine) in anestesia locale, senza quindi l’incisione chirurgica della cute. La procedura può essere completata dal posizionamento di uno stent ( una specie di cilindro metallico elastico autoespandibile, che ha lo scopo di schiacciare e “fissare” a parete la placca che determina il restringimento) allo scopo di mantenere aperta l’arteria e di permettere così un miglior flusso a valle.
Purtroppo non sempre è possibile utilizzare tali tecniche a ridotta invasività ed in molti casi l’intervento chirurgico rappresenta l’unica opzione possibile o quella più sicura. Se infatti in molti distretti arteriosi le tecniche endovascolari raggiungono risultati clinici sovrapponibile a quelli chirurgico con il vantaggio di una ridotta invasività, in altri il trattamento chirurgico tradizionale mentiene una superiorità di risultati. Il chirurgo vascolare a seconda del tipo e dell’estensione delle lesioni arteriose e del quadro clinico generale del paziente sceglie l’opzione terapeutica più indicata; il trattamento chirurgico e quello endovascolare quindi non vanno visti come tecniche alternative una all’altra ma rappresentano opzioni terapeutiche diverse che vengono ritagliate sul singolo paziente e che talora si possono integrare nei cosiddetti interventi “ibridi”.

 

MANCATA SOTTOPOSIZIONE ALL’INTERVENTO

 

La mancata sottoposizione all’intervento laddove indicato comporta oltre al perdurare della sintomatologia clinica e delle eventuali lesioni trofiche presenti alle estremità anche il rischio di una evoluzione peggiorativa della arteriopatia ostruttiva degli arti inferiori che può portare nei casi più gravi all’amputazione dell’arto.

 

TEMPI DI RECUPERO

 

Al termine dell’intervento è possibile che Lei venga trasferito in Terapia Intensiva per il monitoraggio dei parametri vitali per le prime 24h. In assenza di complicanze le dimissione dal reparto avviene in tempi variabili tra i 4 ed i 10 giorni (a seconda del tipo di intervento). Dopo l’intervento é fondamentale che Lei segua la terapia consigliata, che non è rappresentata solo dall’utilizzo dei farmaci prescritti ma anche da un adeguato stile di vita tenendo presente del possibile interessamento di tutti i distretti vascolari da parte della patologia aterosclerotica. È opportuno inoltre che Lei si sottoponga a periodici controlli secondo modalità e frequenza indicata dallo specialista. Dopo l’intervento Lei può condurre una vita normale sia lavorativa sia di relazioni sociali; in caso di intervento a livello del distretto aorto-iliaco, che prevede un’incisione chirurgica addominale, sarà necessario utilizzare per un paio di mesi una ventriera evitando sforzi eccessivi riprendendo poi in maniera graduale la propria attività fisica compatibilmente con l’età e le eventuali malattie associate.